Questo piatto per me rappresenta la mia tradizione, la mia
cultura, le mie radici e non è soltanto un fatto gastronomico, ma anche una
cosa affettiva, di memoria.
Ora che vivo in una città , mi rendo conto di quanto sia
lontana dalla mia vita quella realtà , seppure complicata e difficile, ma tanto
bella, fatta di cose semplici e genuine e devo dire che spesso mi manca la mia
terra, quella produttiva, fatta di cose buone, costituita prevalentemente dall’agricoltura.
Io che ho lavorato in un’azienda bio per qualche anno, ho avuto
il privilegio di viverla, respirarla, apprezzarla, (l’agricoltura) ho visto,
annusato, mangiato quintalate di verdure, dopo essere passata per i campi in
tutte le loro fasi di vita, semina, cura, raccolto, semina, cura, raccolto, di
stagione in stagione…
Ed oggi sono felice di condividere la mia ricetta, perché non solo mi riporta
indietro nel tempo, in posti, situazioni ed emozioni precise, ma mi permette di
parlare di questo meraviglioso prodotto che è considerato una delle eccellenze
gastronomiche pugliesi…la farina di grano arso…
È una storia antica…
In pratica, dopo la mietitura, i
proprietari terrieri, bruciavano le stoppie, dando la possibilità alla gente
povera che non potevano permettersi la farina lavorata, di raccogliere i
chicchi di grano bruciati rimasti per terra e prodursi la farina di grano arso.
Ora per quanto possa essere un fatto antico, io ho abitato
per venticinque anni in posto circondato da campi di grano, ho passato la mia
infanzia a giocare a nascondermi tra i campi alti, adoravo quando il grano
diventava biondo e godermi quell’immagine per più tempo possibile, perché quasi
immediatamente avveniva la mietitura e puntuale la bruciatura delle stoppie.
Io so che ora la farina di grano arso viene prodotta con la
tostatura in maniera sicura, ma ancora oggi, sappiate che i campi a giugno
bruciano, e se chiudo gli occhi sento il
calore del sole, il rumore delle stoppie, l’odore di bruciato…e ritorno
bambina!